Piacenza Basket Club: Botta e risposta Corbani-Pedroni

Secondo appuntamento imperdibile con il SUPER BOTTA E RISPOSTA, ovvero l’intervista doppia che coinvolge gli allenatori del Piacenza Basket School. Oggi proponiamo due pezzi da novanta: Fabio Corbani, coach amato da tutti i tifosi biancorossi per la stagione passata alla guida della Morpho Basket ed attuale responsabile del nostro settore giovanile, ed Andrea Pedroni, responsabile tecnico ed organizzativo minibasket e progetto scuole, giunto a Piacenza quest’anno ma già figura di riferimento per tutto il movimento.

Consiglio spassionato: prendetevi 10 minuti di tempo per leggere questo botta e risposta! Avere due professionisti come Fabio e Andrea che si confrontano su tutto, dall’ “idea di basket” a “come si prepara un partita?”, dal ruolo dell’allenatore al giudizio sull’attuale stagione, passando per i loro sogni, i loro rimpianti, i loro aneddoti più curiosi è davvero una fortuna immensa per il mondo Piacenza Basket School e per tutta la Città.

Speriamo che questa lettura possa permettere a tanti giovani di appassionarsi al meraviglioso sport della pallacanestro, che a tanti si accenda la “fiamma” e che corrano a comprarsi un paio di canotte ..o ad iscrivi ai corsi da allenatori!!!

Buona lettura!

Legenda: F = Fabio / A= Andrea

Nome

F: Fabio

A: Andrea

Cognome

F: Corbani

A: Pedroni

Se ti dico “basket” a che cosa pensi?

F: Alla palla che entra nel canestro senza toccare il ferro, alla retina che si muove, a quel rumore meraviglioso che ogni giocatore ha in testa e che desidererebbe sentire sempre. Per dirla in inglese: “Nothing but net”. Non esistono parole migliori di queste per esprimere il concetto

A: Ad una grande passione che ho nutrito quando ero ragazzo e che, con gli anni, sono riuscito a trasformare nella mia attuale professione. Mi ritengo davvero fortunato per questa cosa

Quando hai avuto il primo incontro con la pallacanestro?

F: In uno scantinato di un oratorio che si trovava accanto a casa mia quando avevo fra i sei e i sette anni. Mio padre mi portò a giocare li con alcuni colleghi di lavoro, ero solo un bimbo in mezzo a tanti adulti-giganti, ma l’anno successivo non esitai ad iscrivermi al corso di minibasket. Nella mia vita ho poi provato praticamente tutti gli sport, dal calcio al nuoto, dal tennis al volley, in virtù anche della mia scelta di frequentare l’ ISEFF. La mia benzina è sempre stato l’agonismo, l’ho ininterrottamente sentito pulsare forte e penso di aver sempre cercato qualcosa verso cui catalizzarlo.

A: In IV elementare. Dovevo praticare uno sport, ed odiando il nuoto, decisi di seguire il consiglio di mio padre: “Andrea perché non ti butti sul basket?”. Sono stato giocatore per un po’ di anni, raggiungendo al massimo la Promozione. Poi sono passato dall’altra parte della barricata, cioè ad allenare, e li mi si è aperto un nuovo mondo!

Quando hai capito che avresti fatto l’allenatore?

F: A 20 anni, perché un paio di anni prima, quando ero all’ultima stagione juniores ed in procinto di passare alla Serie C di allora, la mia schiena iniziò a darmi problemi, non sopportando più un eccessivo carico di lavoro. Se a ciò aggiungiamo il fatto che l’altezza e le doti atletiche non erano eccelse, è presto spiegato il motivo per cui fui costretto a trovare strade alternative a quelle del giocatore. Io avevo chiaro un obiettivo: arrivare in alto. A quel punto le vie erano due: o arbitrare o allenare. Mi cimentai nella prima opzione, ma l’ambiente, dopo qualche anno di attività, non mi piaceva più, cosi decisi di cambiare e di passare all’attività dell’allenatore. Ho avuto una carriera ricca di soddisfazioni perché ho potuto masticare basket a tutti i livelli, arrivando al top come mi ero prefissato però, se devo essere sincero, come il giocare non c’è nulla. Le sensazioni che si provano stando sul parquet sono inarrivabili, pensate che io, ancora oggi dopo ben 28 anni da allenatore, nella notte ho come sogno ricorrente il fatto di schiacciare (dal vivo ci sono riuscito solo con una pallina da tennis) o di segnare da tre punti. Ai miei giocatori, e Sambu lo sa bene, dico sempre: “finché potete, non appendete le scarpe al chiodo!”.

A: Diciamo che l’anno deciso è stato il 1992. Allora passai dalla storica Tuminelli Milano ad Arese, che aveva la prima squadra in serie A2. Li vidi allenamenti senior e juniores di altissimo livello, tanto che fui tentato a continuare la mia nuova carriera di allenatore.

La partita che ricorderai per sempre

F: Posso per mia fortuna dire che ho tantissimi ricordi, tutti bellissimi e a loro modo indimenticabili. Se devo fare una scelta, punto certamente sui 4 scudetti juniores vinti con Milano e Treviso, perché c’era stata la conferma di aver migliorato tecnicamente i ragazzi, ma anche di aver creato gruppi solidi e compatti. Poi non scorderò mai la Coppa Italia vinta con la Benetton Treviso vs Siena come assistente di coach David Blatt. Quello fu l’ultimo grande trofeo ottenuto da Treviso e io ricordo che a fine gara Mordente, decisivo nel finale insieme a Soragna grazie alle loro triple, mi disse: “io e te quando siamo insieme vinciamo sempre!”. Aveva ragione, perché io e lui avevamo già condiviso un successo juniores molti anni prima!!

A: Ce ne sarebbero tante, ma a livello giovanile scelgo la finale del Torneo di Lissone del 2004 con l’Under 19 dell’Assigeco Casalpusterlengo. Ricordo che fummo sconfitti per solo un punto dalla formazione americana dell’Ohio, ma quella fu davvero una gara memorabile perché in campo c’erano giocatori che avrebbero poi fatto la storia del basket italiano e mondiale, anche NBA: basta farvi i nomi di Gallinari, Aradori, Simoncelli. La soddisfazione più grande è che ancora oggi ho contatti con molti ragazzi allenati anni fa , e mi fa davvero piacere vederli crescere, sia dal punto di vista sportivo, che dal punto di vista umano. E’ bello sapere che,in parte, anche io ho contribuito a quello sviluppo.

La partita che vuoi dimenticare

F: Sicuramente il mio rammarico più grande risale alla finale di Saporta Cup giocata a Belgrado, quando io ero al mio primo anno da assistente allenatore in Serie A1 con la maglia dell’Olimpia Milano. Nonostante un pubblico tutto a nostro favore, non riuscimmo mai ad “accendere” la gara, e venimmo battuti dopo aver giocato una partita davvero “spenta”. È un cruccio che non mi toglierò mai dalla testa

A: Quella a Piadena, in C1 nella stagione 2005-2006. Era Gara 4 e ci giocavamo la promozione in B2. Purtroppo perdemmo quella partita in casa e il nostro sogno svanì li. Ecco, quella sfida la rigiocherei più che volentieri!

Il gesto tecnico su cui insisti maggiormente in allenamento:

F: Il tiro da fuori! Guardo la tecnica, il ritmo e cerco di dare fiducia sia ai miei assistenti che ai giocatori circa quel fondamentale. È un gesto fondamentale nel nostro gioco, la gente vuole vedere i giocatori segnare. In fin dei conti, un bambino si innamora del basket perché vede un tiro da tre, non perché assiste ad uno scivolamento difensivo!

A: Son solito lasciare massima libertà ai giocatori, sia senior che junior. In allenamento faccio fare giochi o esercizi che sviluppino libertà di scelta e di adattamento. Non mi piace schematizzare troppo perché il basket è soprattutto un gioco di scelta, dove ogni volta vanno prese decisioni in base al contesto. Per dirla in breve: cerco di fare crescere atleti autonomi e non degli automi!

Rituali pre/dopo gara?

F: Da giocatore mangiavo sempre un toast, bevevo una coca ed ascoltavo musica nelle cuffie. Da coach invece non ho nessuna abitudine particolare, se non quella di stare nello spogliatoio durante il riscaldamento dei ragazzi, per lasciarli tranquilli

A: Da giocatore prestavo attenzione ai vestiti del pre gara, ora invece seguo questa filosofia: “il mio rituale è non avere rituali!”

Come prepari una partita?

F: La si prepara in settimana. Prima di tutto guardo gli avversari per capire chi andremo ad affrontare, poi nei primi giorni della settimana ci si concentra sui lavori individuali. Sul finire invece si passa a provare 5vs5, per ricreare alcune individualità dei futuri avversari. Mentre si fa tutto ciò bisogna guardare all’aspetto psicologico dei ragazzi, bisogna saperli motivare, bisogna spronarli, bisogna capire di che cosa hanno bisogna per rendere al meglio. Il basket è sempre diverso, e quindi anche l’allenamento lo sarà. Giocare a pallacanestro non è fare ginnastica, perché ogni avversario, ogni partita, ogni situazione richiede attenzione, studio e capacità di adattamento. Se un giocatore ti domanda la risposta ad una situazione, la risposta migliore è sempre, detta in inglese che è la lingua madre della pallacanestro: “Solve the problem!”. Sei tu che sei in campo, sei tu giocatore che devi risolvere il problema perché la voce dell’allenatore arriverà sempre in ritardo rispetto all’azione in corso.

Ci tengo a dire che, insieme a Marcello Ghizzinardi, terrò un clinic a Piacenza proprio su questo argomento, cioè su come (ci) si prepara ad una gara. Consiglio sia ai nostri ragazzi sia ad altri allenatori di prenderne parte.

A: A livello giovanile curo solo i nostri aspetti, tralasciando quelli degli avversari. In Serie C invece, di solito nell’allenamento prima della partita, mostro ai ragazzi le giocate dei prossimi rivali. Quando ero assistente allenatore visionavo i dvd delle gare e “studiavo”: è un’abilità che mi porto dietro ancora oggi come head coach

Prediligi l’attacco o la difesa?

F: Io lavoro molto scrupolosamente sulla difesa ma le mie squadre segnano sempre anche molti punti. Per capire se una squadra difende bene, bisogna guardare il rapporto fra numero di possessi giocati dall’avversario e punti segnati e sotto quest’aspetto le mie formazioni si “difendono” bene. Io sono anche convinto che serva regalare uno spettacolo al pubblico, perché altrimenti la gente non viene al Palazzetto. Non dico sia semplice creare questo tipo di gioco, però se un giocatore lo lasci libero di giocare, di avere la palla in mano, questo si diverte e fa divertire, e in più si responsabilizza, e ciò è un bene per tutta la squadra

A: Ogni anno riprometto di lavorare di più sulla difesa, ma poi le mie squadre giocano sempre meglio in attacco! Io preferisco teams che corrono, che pressano, e partite che terminano con punteggi alti! Non so se questo porta a vincer qualcosa, ma di certo per il pubblico è uno spettacolo molto più divertente da seguire!

Tu e il pubblico. E’ uno stimolo o una pressione?

F: Di solito ho un rapporto molto timido, molto riservato. A Piacenza solo in occasione delle ultime gare ho dato alcuni ”cinque” a nostri tifosi perché altrimenti Ennio Tribi mi avrebbe ucciso. Per me e per noi però il pubblico l’anno scorso è stato fondamentale, ci ha sempre supportato e vedere tutto il PalaBanca in piedi appena dopo la sconfitta in gara 4 playoff vs Barcellona è stata un’emozione impagabile. E’ stato proprio questo pubblico a convincermi a restare a Piacenza anche quest’anno: mi erano arrivate offerte ad inizio e a metà campionato, però le tante famiglie e i sorrisi dei bambini che ci seguivano con vivo affetto mi hanno convinto ad investire ancora su questa città. Da Piacenza si può ripartire di nuovo, ne sono convinto!!

A: Avere un tifo “caldo” e magari contro mi ha sempre stimolato. Penso poi che per una squadra passare su un campo che tutti considerano ostico dia molte più soddisfazioni che vincere dove vincono tutti!

Come ti guadagni il rispetto dei tuoi ragazzi?

F: Questa generazione di ragazzi è diversa da quelle passate, di 20-30 anni fa. Ormai da 10 anni i giovani non vogliono più sentirsi ripetere le solite morali, o paternali poi smentite dall’atto pratico, ma avere degli esempi da seguire. Io non ho mai fatto colloqui individuali, preferisco parlare a tutti, e fare capire ciò che mi piace e ciò che voglio con il mio esempio. Io mi impegno al massimo per dare entusiasmo, energia, e poi aspetto, ma non chiedo. Se si è seminato bene, qualcosa dai ragazzi ti torna sempre, nella mia esperienza ho avuto costanti bilanci positivi. Uno degli aspetti più belli dell’essere allenatore è il fatto che, se si è lavorato bene, i tuoi ragazzi continuano a mantenere contatti con te e fra di loro. Tre settimane fa, ad esempio, sono andato a vedere giocare Caserta dove militano Michelori e Mordente, con i quali vinsi il I scudetto Juniores a Milano, e a quella partita c’erano anche altri ragazzi di quel team, che pur non praticando più basket, erano lì in quanto cari amici dei due in campo. Questo è ciò che vorrei, e che spero, anche per i giovani che alleno oggi!

A: Essendo coerente in ciò che faccio e in ciò che dico. Cerco di trattare tutti nello stesso modo, senza nessun privilegio particolare. Se ci si comporta cosi, per me si guadagna già una buona fetta di fiducia, poi ovviamente il resto dipende anche dai risultati sul campo

La lezione più importante che ti ha dato fino ad oggi la pallacanestro

F: Mi ha dato il mio modo di vivere. Da bambino/ragazzo le mie passioni erano: il basket, la musica e le ragazze. Oggi posso dire che posso soddisfarle tutte quante, perché il basket è la mia vita professionale e ciò che mi mantiene, la musica perché rimane una parte fondamentale delle mie giornate – lo dimostra il fatto che ascolto ancora i cd comprati in originale – e le ragazze perché sono sposato ed amo infinitamente mia moglie. Poi la forma mentale che ho acquisito sul campo me la porto dietro anche nella vita privata: sono molto metodico, al contrario di mia moglie!

A: Poiché è uno sport di squadra, mi ha insegnato che ciascuno è importante solo se si mette al servizio della squadra. Volere essere l’unica voce in campo può essere dannoso per il gruppo e per sé stessi. Non a caso le vittorie più belle arrivano sempre quando c’è una forte coesione in squadra!

Come giudichi la stagione in corso?

F: Abbiamo svolto una grandissima quantità di lavoro, iniziato prima in modo piuttosto tranquillo e poi aumentato nel corso delle settimane e dei mesi. I ragazzi non hanno però mai fatto un passo indietro, anzi alcuni hanno addirittura disputato due campionati, a dimostrazione della dedizione e dell’impegno profuso. Rispetto a 6-7 mesi fa i miglioramenti sono stati enormi: le squadre si allenano con ordine, attenzione, motivazione e soprattutto disciplina, una dote che io reputo fondamentale per essere vincenti in campo e per essere un vero gruppo. Può essere vista come un’esibizione di potere, una cosa quasi militaresca, ma in realtà è quel modo di essere che ti permette di stare bene insieme agli altri, che siano giocatori, staff, arbitri, avversari. Questa poi è stata una stagione davvero interessante e formativa, perché abbiamo dovuto affrontare mille situazioni, basti pensare che fra staff e ragazzi siamo oltre 350 persone, e ogni giorno ci misuriamo con vittorie, sconfitte, trasferte, riunioni etc. Sono 28 anni che alleno e ogni annata, ogni club, ogni gruppo mi hanno sempre insegnato qualcosa. In tal senso Piacenza non fa eccezione. Inoltre ho condiviso la stagione con gli amici dell’anno scorso: Marco Sambugaro, Giovanni Maestri e Gigi Stecconi, portando avanti con loro delle piacevolissime storie umane e professionali.

A: Mi sto trovando molto bene, e per questo devo ringraziare le persone che già conoscevo come Marco e Fabio e le nuove, come Giovanni e Gigi. Questo, per me, è stato un “anno-zero” positivo sotto numerosi aspetti: abbiamo oltre 200 iscritti al minibasket, ci siamo consolidati a Piacenza, Pontenure, Gazzola e forse apriremo un centro anche a Caorso. Circa il “progetto scuole”, abbiamo fatto tantissimi interventi su Piacenza e Fiorenzuola che sono i nostri capisaldi, e poi su Agazzano, Caorso, Pontenure e Gazzola. Per l’estate organizzeremo un Day Camp e poi un Camp estivo, per dare modo ai ragazzi di continuare le attività con noi. L’anno prossimo ripartiremo per far ancora meglio di questo, nella speranza di avere anche una prima squadra ad una categoria più alta della Serie D, perché Piacenza si merita grandi palcoscenici.

Squadra di basket “del cuore”

F: In NBA i Lakers, mentre per l’Italia ho qualche aneddoto da raccontare. Io nasco come tifoso varesino, ma quando sono stato chiamato da Milano ho iniziato a seguire le gare dell’Olimpia e dopo qualche mese mi sono come per magia ritrovato tifoso sfegatato di quei colori. Dopo Milano, sono passato alla Benetton Treviso, e all’inizio non riuscivo a vedermi vestito di bianco-verde. Poi però è successa la stessa magia “milanese”: anche la Benetton mi è entrata nel cuore. Il mio sogno è di portare in Serie A anche Piacenza, cosi anche lei si aggiungerà alla lista di Milano e Treviso!!

A: Ai tempi Philadelphia 76ers perché andavo matto per Julius Erving, soprannominato Doctor J o Dr J, uno dei giocatori più forti e spettacolari della storia dell’NBA. Consiglio a tutti i giovani di andare a vedere chi fosse questo fenomeno!

Squadra di calcio o di qualunque altro sport preferita

F: Juventus da sempre!

A: Sono un milanista abbastanza convinto!

Meglio l’Eurolega o la NBA?

F: L’Eurolega l’ho vissuta personalmente, ed è la pallacanestro più bella d’Europa, non c’è nessun campionato che le si possa avvicinare in quanto a complessità tecnico-tattica. La NBA è invece affascinante, è un mondo di cui ti innamori subito!

A: Per spettacolarità NBA, per tattica Eurolega. Fra le due competizioni però il gap fisico è ancora molto distante, ecco perché le squadre NBA rimangono più forti di quelle europee.

Seguivi la Morpho Basket l’anno scorso (Solo per Fabio: che cosa ti manca di più della passata stagione a Piacenza?)

F: Mi manca la squadra, il gruppo perché era piacevolissimo da allenare: gli ero davvero affezionato. Mi piaceva come stava insieme, come si aiutavano i ragazzi in campo e fuori, come erano educati fra loro e con lo staff. Lo dico senza retorica: era un gruppo speciale!

A: Sono amico di Fabio, Marcello e Marco, e dei vostri ex giocatori come Perego e Simoncelli, quindi lo scorso anno ho visto tante gare. Soprattutto quelle vinte, come la partita di ritorno contro Verona e quella ai playoff contro Barcellona a Piacenza

Atleta o coach a cui ti ispiri?

F: Mi sono continuamente ispirato ad alcuni allenatori con cui ho avuto il piacere di stare in palestra o che mi hanno sempre colpito, pur non avendoli mai avuti come colleghi diretti: Bogdan Tanjević, Mike D’Antoni, David Blatt, Jasmin Repeša, Francesco Vitucci, e Marco Crespi, con cui la mia carriera di allenatore professionista è iniziata perché fu proprio lui a volermi a Milano

A: Io sono un autodidatta puro. E questo è un po’ il mi rammarico perché in gioventù, quando ho iniziato la carriera da allenatore, avrei voluto qualche “gigante” da affiancare in palestra, per carpirne i segreti. Ho avuto modo di vedere all’opera Fabrizio Frates o Recalcati, ma non ci ho mai lavorato insieme.

Personaggio pubblico che vorresti conoscere

F: Non ho mai avuto questo desiderio particolare però, da quando è stato eletto Papa Francesco, vorrei incontrare lui. In giovane età conobbi un gesuita, che ancora oggi ringrazio per quello che mi ha insegnato e per la mentalità che mi ha trasmesso: poche parole ma tanto esempio. Ecco, nel nuovo Papa vedo tutte queste affinità

A: Vorrei conoscere Barack Obama e Papa Francesco. Anzi, mi piacerebbe sedermi ad un tavolo con entrambi e parlare con loro, certamente io avrei molto molto da imparare! E, sapendo l’amore viscerale del Presidente USA per il basket, certamente farei cadere il discorso anche su quel tema!

Quale protagonista cinematografico o letterario o musicale vorresti essere?

F: Io ascolto rock progressivo, e sogno da sempre di poter essere un cantante del genere! Il problema è che sono stonato come una campana, quindi questo è sempre rimasto solo un desiderio nel cassetto. Noto però molti elementi in comune fra il basket e la musica, io stesso tante volte quando vedo le mie squadre giocare sento quelle sensazioni/suggestioni che provo quando ascolto le canzoni che mi piacciono: è tutta una questione di ritmo! Come personaggio letterario invece scelgo Il gabbiano Jonathan Livingston (dal romanzo breve di Richard Bach) perché lancia il messaggio che uno non deve mai smettere di provare a volare, e dopo esserci riuscito di non accontentarsi ma di provare a fare pure delle esibizioni in volo, di andare sempre oltre la fisica e i limiti. Per me ogni cestista dovrebbe leggere quel libro, ecco perché io ho l’abitudine di regalarne una copia ai miei giocatori quando se ne vanno, soprattutto agli americani, ovviamente in lingua madre!

A: Nessuno in particolare, però vorrei diventare famoso nel mio campo.

Oggetto materiale indispensabile per il tuo ruolo da allenatore

F: La voce e l’entusiasmo. Se dovessi perdere quello, smetterei il giorno stesso di allenare.

A: Il fischietto, e mai avrei pensato di dare questa risposta perché non l’ho mai amato, ma da circa due anni mi sta salvando la vita, visto che la voce da sola non basta più!

Per una giornata intera puoi fare tutto, ma proprio tutto ciò che vuoi. Come spenderesti il tuo tempo?

F: Vorrei provare l’ebbrezza di guidare una macchina di F1.

A: Andrei a Londra con mia moglie, poiché è un viaggio che sogniamo di fare da tempo

Ti svegli una mattina e hai davanti il Genio della Lampada, che cosa gli chiedi?

F: Di poter vedere Piacenza disputare nuovamente un campionato di basket ad alte categorie

A: Di avere una chance professionale più importante di quelle che ho avuto in questi anni di carriera. Magari poi la fallirei, o magari no, il mio desiderio è poterla avere e potermela giocare!

Un pregio dell’essere allenatore

F: Che allenare è un divertimento che ho la fortuna di svolgere a tempo pieno come lavoro, mentre invece altri lo possono fare solo come hobby.

A: Di avere responsabilità: devi gestire situazioni e persone, il che la rende un’attività di certo non anonima!

Un difetto dell’essere allenatore

F: Non hai mai periodi di stacco, orari regolari, periodi di riposo. Ma la cosa non mi ha mai pesato, e se un domani dovesse iniziare a darmi fastidio, smetterò con questa professione.

A: Spesso sei lasciato solo nelle difficoltà, ma fa parte del gioco. Quando decidi di allenare, sai che puoi andare incontro anche a questa situazione.

Un saluto all’amico-rivale

F: Io ed Andrea abbiamo lavorato insieme per anni in diverse società, con lui ho un rapporto bellissimo. Voglio a tal proposito raccontare questo episodio: quando lui era ad Arese, aveva come obiettivo quello di prelevare dall’atletica Oscar Gugliotta, ragazzo di grande atletismo ed aggressività. Oscar però non conosceva nemmeno una regola, cosi ogni volta che scendeva in campo prendeva la palla sotto le ascelle e cominciava a correre con questa, senza palleggiare. Io al tempo allenavo le giovanili all’Olimpia, cosi più di una volta io ed Andrea ci siamo messi d’accordo per organizzare amichevoli fra Milano ed Arese dove Gugliotta potesse giocare indisturbato, con la complicità dell’arbitro, ed appassionarsi cosi al nostro sport. Alla fine lo stratagemma funzionò perché poi Oscar divenne un atleta di Serie A e scrisse pagine importanti della storia del basket nazionale.

Andrea Pedroni è un ragazzo di grandissima professionalità che, come Ghizzinardi, rispecchia il mio modo di fare le cose. Non abbiamo nemmeno bisogno di troppa comunicazione, ci capiamo al volo e tutto prosegue da sé, in modo corretto. E’ un piacere enorme che abbia deciso di seguire il nostro progetto quest’anno!

A: Ci siamo conosciuti nel 1992, al Tuminelli Milano, poi ci siamo divisi, poi di nuovo insieme all’Assigeco e ora sono felice che mi abbia rivoluto con lui a Piacenza. Lo ringrazio di cuore per la fiducia che ha sempre riposto in me!

Ufficio Stampa PIACENZA BASKET CLUB